Genere/Gender
Supplemento a Studi di teologia
Anno 2015
N. 13
Introduzione
C’era una volta il genere. Legato al sesso di appartenenza (maschile o femminile), il genere era un modo culturale, personale, biografico di interpretare la propria sessualità. Come il resto della vita, anche il genere era ed è soggetto alle distorsioni del peccato e nella necessità di essere guarito dalla grazia divina. Ora c’è il gender. Indifferenziato rispetto al sesso, esso si presenta come un kit da montare a piacimento nelle sue molteplici variabili e soggetto solo alla decisione rivedibile dell’individuo. Reagendo alla naturalità del sesso da cui il genere era fortemente influenzato, il gender è visto all’opposto come un mero costrutto culturale senza alcun rapporto con il sesso.
La differenza tra genere e gender non sta solo nel solito anglismo preferito ad una parola italiana. Tra le due parole c’è la distanza che va da un pensiero (quello del genere) prevalentemente riflessivo su una realtà ricevuta da interpretare culturalmente e uno (quello del gender) che invece, quella realtà, la vuole costruire tutta quanta quasi fosse un cantiere sempre in via di definizione. Ora il gender è stato ideologizzato ed è diventato una verità assoluta da impartire alle giovani generazioni per liberarle dai vincoli residui delle costrizioni del sesso e per aprire loro un mondo liquido dove tutto ruota intorno ad individui in perenne stato di mutazione. Non è tanto in discussione la possibilità di pensare che l’identità umana sia effettivamente così come la teoria del gender la intende, quanto la libertà di pensarla diversamente, magari continuando a ritenere che per avere un/a bambino/a è bene che ci sia una mamma e un papà. Il gender non vuole solo una cittadinanza culturale in uno spazio plurale, ma ambisce a cancellare la possibilità per altri pensieri di abitare quello spazio in nome di una “correttezza” culturale dai tratti arroganti.
Il genere non è nuovo come tema di discussione. Anche in ambito cristiano ed evangelico, si può scorgere una traiettoria che ha progressivamente investito la riflessione assumendo varie forme e sollecitando sempre nuove domande. Sotto l’influenza del femminismo e di forti rivendicazioni sociali, la teologia evangelica ha iniziato a misurarsi con esso quando la questione dell’egualitarismo tra i generi si è affacciato al mondo delle chiese. In nome dell’eguaglianza, si è fatta massiccia la spinta per riconoscere alle donne il diritto d’esercitare ogni ministero nella chiesa, compreso quello dell’anzianato o del pastorato. Negli Anni Ottanta si è quindi registrato il dibattito tra egualitarismo e complementarietà. Il primo spingeva per l’appiattimento delle differenze e l’intercambiabilità assoluta dei ruoli; la seconda, nel riconoscimento della pari dignità, voleva salvaguardare le distinzioni tra uomo e donna nella società e nella chiesa[1].
Negli Anni Novanta, il dibattito si è concentrato sulla legittimazione teologica ed ecclesiale dell’orientamento omosessuale. Non si trattava più soltanto di livellare la differenza tra i generi maschile e femminile, ma di riconoscere l’omosessualità come un terzo genere irriducibile al maschile e femminile e da riconoscere pubblicamente. Alcuni settori del protestantesimo storico hanno ceduto anche su questo fronte, mentre l’evangelicalismo ha sostanzialmente mantenuto l’idea che, al netto della trasversale “anormalità” di ogni vissuto di genere segnato dal peccato, la prospettiva biblica incoraggia a vivere mascolinità e femminilità guarite. Anche in questo caso, il dibattito è stato acceso e lungi dall’essere concluso[2].
Ora, negli ultimi dieci-quindici anni, il gender rappresenta un altro stadio della discussione. Dopo l’egualitarismo tra il maschile e il femminile e la legittimazione dell’omosessualità, la spinta è quella di superare ogni residuo di caratterizzazione creazionale o “naturale” del genere, per introdurre una variabile di gender aperto. In gioco ci sono delle sfide importanti. Ecco un succinto e parzialissimo inventario. I toni possono sembrare alquanto forzati ed allarmistici, ma non snaturano i termini sostanziali della questione.
1. La teoria gender ambisce a risignificare l’umano, lontano dai parametri sessuali e simbolici del maschile e femminile, verso un superamento dell’eterosessualità come orizzonte di riferimento e con l’introduzione di un’indistinzione di sesso e di genere. I ruoli sociali, quindi la struttura della società, non sono più declinati al maschile-femminile (marito-moglie; padre-madre; figlio-figlia), ma in un indistinto neutro dove la variante di genere sparisce risucchiata in un’incolore uguaglianza. Essere persone significherà essere individui indifferenziati, fuori da ogni connotazione sessuata e di genere.
2. Passando dall’antropologia all’ontologia sociale, il gender prevede che la coesione sociale non sia più sostenuta intorno a reti di famiglie composte da coniugi uniti in matrimonio, ma facendo leva su formazioni sociali fluide, unicamente definite dal consenso degli individui. Nessuno contesta il rispetto dei diritti individuali e la presa d’atto dell’evoluzione sociale, ma la teoria gender vuole ridefinire normativamente le formazioni sociali all’interno di un unico calderone categoriale che elimina ogni differenza tra loro.
3. La destrutturazione del genere in gender ha delle forti ripercussioni sull’approccio generale nei confronti dei bimbi. Sganciando paternità e maternità dal genere dei genitori, i bambini diventano oggetti di desiderio di individui piuttosto che doni a coppie sposate che si aprono alla genitorialità. Il diritto dei bambini ad avere un padre e una madre viene ad essere soppiantato dal “diritto” di individui adulti ad avere un/a figlio/a a prescindere dalle figure genitoriali paterna e materna. Inoltre, è lo stato maestro che si fa carico di “educare” la prole nella dottrina gender prevedendo l’insegnamento forzoso ed esclusivo dell’ortodossia gender. Quest’ultima non si accontenta di essere una voce tra le altre nell’agorà pubblica, ma pretende di essere l’unica autorizzata e utilizza la scuola quale veicolo di auto-propaganda.
Come si evince, si tratta di grandi questioni che, nell’Occidente tecnologicamente iper-connesso ma sempre più spesso culturalmente regressivo, impegneranno questa generazione e la prossima. Dopo essere stata vittima di un’ideologia religiosa di stato, anche l’Italia corre il rischio di piombare in un’ideologia di genere imposta per legge. A farne le spese è la possibilità di una società plurale in cui le diverse visioni si confrontino senza criminalizzazioni. Lavorando per il pieno riconoscimento del pluralismo e della piena libertà di parola, questo è il contributo che la minoranza evangelica può e vuole dare alla discussione in corso.
Leonardo De Chirico
[1] Cfr. “Dichiarazione di Danvers sull’uomo e la donna secondo la Bibbia” (1987) in P. Bolognesi (ed.), Dichiarazioni evangeliche. Il movimento evangelicale 1966-1996, Bologna EDB 1997, pp. 341-344. Il testo è reperibile http://www.ifeditalia.org/page/dichiarazione-di-danvers-sull%E2%80%99uomo-e-la-donna-secondo-la-bibbia. Su questo dibattito si veda il fascicolo “Mascolinità e femminilità”, Studi di teologia NS XIV (2002) N. 28.
[2] Cfr. “Omosessualità”, Studi di teologia – Suppl. N. 2 (2003).
Sommario
Articoli
Alessandro Piccirillo, Identità in discussione tra genere e gender
Lucia Stelluti, Educazione sessuale e di genere nella scuola statale italiana
David Horton, Prospettive cristiane su travestitismo e transessualismo
Rassegna
Leonardo De Chirico, Dimensioni culturali e teologiche del gender
Studio critico
Paolo de Petris, Un dio queer?
Segnalazioni bibliografiche
Rubrica
Vita del CSEB