C. Van Til 1895-1987

 

Studi di teologia
Nuova serie
Anno VII 1995/1
N. 13

 

Introduzione

Dopo Herman Dooyeweerd, Cornelius Van Til. Una simile successione non ha bisogno di particolari giustificazioni. Non si tratta solo di una ricorrenza legittima, quella del centenario della nascita di Van Til (1895-1987), ma anche di un prolungamento doveroso. Tra i due c’è una continuità. Il mondo evangelico ha una storia. L’opera di Dio nel tempo si sviluppa e si distende per la sua maggior gloria.
Van Til ha avuto il merito di riportare alla ribalta una disciplina teologica se non proprio rimossa dall’universo scientifico dell ventesimo secolo, da tempo trascurata, l’apologetica. Formatosi contro l’idealismo degli hegeliani inglesi, confermatosi nella lotta contro la teologia dialettica barthiana e affidandosi contro le tendenze al compromesso di certi evangelici, egli ha saputo essere l’apologeta del ventesimo secolo. Semplice e profondo nel medesimo tempo, possiede una valenza pratica straordinaria.
Il suo pensiero è semplice perché si rifà alla confessione più basilare della fede cristiana e cioè all’affermazione che Dio è veramente il Signore. Nel campo dell’apologetica Van Til si è dunque consacrato ad un lavoro di purificazione radicale. Tale disciplina dev’essere liberata dalle scorie di tanti rovinosi tentativi di compromesso. Bisogna pensare i pensieri di Dio dopo di Lui! In ogni pensiero è Lui che bisogna presupporre, perché egli è la certezza più grande che vi possa essere in questo mondo ed il criterio di tutte le verità. Nulla è più certo di Lui, né la matematica, né la logica, né alcun’altra cosa. Ecco perché bisogna prendere sul serio la rivelazione biblica.
Van Til ha così colto la radicale antitesi che esiste tra il pensiero biblico e tutti gli altri sistemi che dalla Grecia ai tempi moderni si sono succeduti. Se la scrittura deve essere ritenuta la sola sufficiente fonte della Parola di Dio, è a lei che bisogna rivolgersi per evitare il rischio del compromesso con le altre concezioni.
La salvezza consiste nel rinunciare alla propria autonomia per riconoscere quella di Cristo. I pensieri devono essere totalmente cambiati dalla signoria di Cristo (2 Cor 5,17; 10,5) per essere salvati dal peccato. Da ogni punto di vista cristiano infatti ogni pensiero filosofico, teologico, sociologico, psicologico e via discorrendo è profondamente difettoso. La neutralità è una chimera. La conoscenza che si può avere senza la sottomissione al Signore proviene da una volontà peccatrice che distorce e soffoca la vertà stessa (Rm 1,18-32). Bisogna dunque andare alle radici della riflessione, evidenziare e scalzare le falsità che vi possono essere. Se il pentimento non concerne anche il pensiero rimane un pentimento parziale e la salvezza non si configura come vero Evangelo.
Il pensiero di Van Til è anche profondo. Ad una prima osservazione esso è assai accessibile perché appare una presentazione pura e semplice dell’Evangelo, ma ad un altro livello manifesta uno spessore straordinario. Egli ha cose molto profonde da comunicare sula grazia comune, sulla dottrina della Scrittura, sull’etica, sulla logica ed il paradosso, sull’incomprensibilità di Dio, sulla Trinità. Egli ha sviluppato una critica molto penetrante nei confronti di Platone, Kant, Hegel, Schleiermacher, Barth, ma anche nei confronti dell’apologetica tradizionale. C’è né abbastanza per interessarsi sulla sua opera.
Il suo pensiero è pratico. Talvolta si leggono opere senza poter capire dove vadano a parare. Solleticando la riflessione, ma non si capisce bene quale sia la loro portata pratica. Non è il caso per il pensiero vantilliano. Chi è stato abituato alle argomentazioni dell’apologetica tradizionale, non avrà difficoltà a scoprire in Van Til una visione assai diversa e piena di promesse assai concrete per la testimonianza anche alla fine del ventesimo secolo. Sarebbe senz’altro istruttivo un confronto tra le varie opere d’apologetica fin qui pubblicati in Italia e l’opera del nostro apologeta.
Van Til è stato un pensatore rigoroso, ma anche un uomo pieno di grazia e umiltà. Chi ha studiato sotto di lui parla di “un’esperienza devastante” e nel medesimo tempo dell’incontro con un amico pieno di umanità. L’equilibrio tra il pensatore e l’uomo, l’accademico ed il credente è sempre stato molto vivo per tutta la sua lunga esistenza.
Egli si colloca nell’illustre scia di coloro che hanno tentato di contribuire alla costruzione di un pensiero pienamente biblico in un settore ormai trascurato del lavoro teologico. Anche se era pienamente consapevole dei limiti della sua ricerca e del bisogno quindi di precisarne taluni aspetti, egli ha segnato una tappa molto importante nella storia del mondo evangelico. Questo numero si va ad aggiungere al N° 11 della prima serie di Studi di teologia (1983) dal titolo Apologetica oggi ampliandone l’ottica.


Sommario

Articoli

  • William Edgar, “L'apologetica di Cornelius Van Til (1895-1987)”

  • Cornelius Van Til, “Il mio credo”

Documentazione

  • “Materiale bibliografico su C. Van Til”

Studio critico

  • Matteo Clemente, “Per un'apologetica”

  • Pietro Bolognesi, “Per un dialogo”

Segnalazioni bibliografiche