Mascolinità e femminilità

 

Studi di teologia
Nuova serie
Anno XIV 2002/2
N. 28

 

Introduzione

Cosa significa, per un uomo, essere maschio? E per una donna, essere femmi­na? Il mondo contemporaneo è attraversato da un tentativo di ricomprendere la questione del genere. Essere maschio da un punto di vista biologico è un dato non contestabile. Esattamente lo stesso si può dire dell'essere femmina. Sono tratti caratterizzanti l'identità sessuale di una persona. Eppure, il genere è qualcosa di più rispetto alla connotazione sessuale in quanto comprende considerazioni di ordine simbolico, sociale, culturale e relazionale. La ma­scolinità è il modo in cui un uomo percepisce il suo essere uomo e lo vive in relazione al mondo, anche femminile. D'altro canto, la femminilità è il modo in cui una donna pensa e vive il suo essere donna in relazione al mondo e agli uomini. Se un tempo anche non troppo remoto il genere aveva un profilo abba­stanza delineato (e molto spesso distorto), oggi la mascolinità e la femminilità sono contenitori linguistici e culturali in cui non si sa più bene cosa ci sia dentro. Il genere non è più pensato come qualcosa di statico e di dato una volta per sempre. Al contrario, esso assume un carattere mobile, intercambiabile e reversibile. Le declinazioni della mascolinità (uomo, marito, padre) e le funzioni sociali ad essa associate sono molte incerte e quasi del tutto sovrapponibili a quelle della femminilità (donna, moglie, madre). I con­fini tra le due appaiono labili, se non del tutto rimossi. L'uomo si riflette in un'immagine frantumata di mascolinità, la donna si specchia in un vissuto di femminilità dai contorni sempre più informi. A ciò si aggiunga la crescente accettazione dell'omosessualità che si configura come un genere sfuggente rispetto all'uno e all'altro.Oltre all'identità del genere in sé stesso, anche la relazione tra generi costituisce problema. La radicale messa in discussione del secolare predominio del genere maschile (il modello “kiriacale”, nel gergo un po' iniziatico della teologia femminista) su quello femminile ha valicato la giusta condanna degli abusi e delle violenze perpetrati sulle donne in nome della supremazia maschile. La necessaria denuncia delle prevaricazioni maschili sulle donne si è trasformata nel tentativo di sovvertire l'ordine simbolico legato ad una de­finizione di mascolinità e di femminilità che preveda uguaglianza di valore ma distinzione di ruoli. L'essere maschio dell'uomo e l'essere femmina della donna non sembrano rientrare nel linguaggio del “politicamente corretto”, soprattutto per quel che riguarda le peculiarità di un genere rispetto ad un altro. Il discorso sempre più diffuso sulle “pari opportunità” risente molto della sostanziale indistinzione dei ruoli legati al genere. In sostanza, tutti pos­sono fare tutto: i maschi le cose femminili, le donne quelle maschili. In più, individuare cosa sia prettamente maschile e cosa specificamente femminile è diventato un rebus senza soluzione. Nell'ambito della teologia, la riflessione sul genere ha innescato una rivisitazione critica dei “modelli di Dio” (McFague). Le tradizionali immagi­ni mascoline di Dio sono considerate espressione di un ordine simbolico pa­triarcale, quindi intrinsecamente discriminante per le donne e program­maticamente violento. Dio in quanto Padre risente della crisi della paternità e della rarefazione della mascolinità: è un modello che viene ritenuto aperto ad essere integrato, arricchito, se non proprio sostituito da modelli femminili, ecologici, naturistici e quant'altro la pluralità di sensibilità culturali possa suggerire. Quello che importa è che ciascuno riesca farsi un'immagine di Dio a propria somiglianza e che la possa “sentire” vicino. La rivelazione biblica perde qualsiasi voce normativa in proposito, anzi viene messa sul banco degli imputati. La Bibbia viene vista come parte del problema di cui ci si vuole liberare, se non proprio un fattore determinante che ha concorso al consolida­mento dell'ordine patriarcale nella società occidentale. Il problema del genere investe l'antropologia e la società, la teologia e i processi educativi, i mass-media e le famiglie, l'identità personale e le chiese. Studi di teologia si è già occupata di questioni inerenti al nostro tema, soprattutto in relazione all'importanza del genere per la famiglia e per la chiesa [1] . Questo numero vuole essere un ulteriore prolungamento della rifles­sione avviata. E' bene chiarire ancora una volta che gli evangelicali non sono chiamati a fare una battaglia di retroguardia teologica e di conservatorismo culturale. Nessuno vuole ammantare di sacralità l'ordine simbolico tradizio­nale e sviluppare una teologia della nostalgia del patriarcato. Affrontare ancora il problema del genere non significa farsi difensori del racconto patriarcale che sancisce la prevaricazione di un genere sull'altro, ma neanche essere paladini della narrazione postmoderna in cui i generi sono simulacri fittizi. Si tratta di rivolgersi alla storia biblica per imparare o reimparare a vivere la dimensione del genere nella cornice della creazione-caduta-redenzione. Alla luce di questa cornice, non si potrà sostenere che il genere è un mero prodotto culturale, totalmente alla mercé dei suoi attori e del tutto legato al rapporto di forza tra componenti maschili e femminili della società. Al contrario, si trat­terà di apprezzare il fatto che l'identità di genere ha una sua configurazione creazionale inalienabile anche se corruttibile. Infatti, il peccato ha introdotto una distorsione nel modo in cui il genere è percepito e vissuto. Anche per quanto riguarda il tema della mascolinità e della femminilità, il dono della creazione che l'uomo e la donna avrebbero dovuto sviluppare è stato invece sottoposto ad un'involuzione pericolosa con la conseguente perdita del baricentro di entrambi i generi. Nella prospettiva della storia della salvezza che tutto tocca e rutto trasforma, è necessario riscoprire in termini redentivi il dono della mascolinità e della femminilità. La redenzione in Gesù Cristo è tanto ampia da promuovere un vissuto dei generi riformato dalla grazia di Dio Padre e dalla potenza dello Spirito Santo. In quest'ottica, la prospettiva biblica libera dai modelli deformati dal peccato: essa si scontra con l'eredità patriarcale e violenta della cultura occidentale, ma non può nemmeno essere imbrigliata nelle rivendicazioni piattamente egualitarie della postmodernità. Se la prima estremizza la distinzione tra maschio e femmina, la seconda assolutizza la loro unità. In quanto onora l'essere trinitario di Dio, l'approc­cio cristiano è invece dell'uno e del molteplice. Riconosce, cioè, l'uguaglian­za di uomo e donna e rispetta la loro diversità in un'ottica di complementarietà. Le altre visioni non sono trinitarie e quindi non sono cristiane. Gli evangelicali sono chiamati a mettere in atto la visione biblica della mascolinità e della femminilità nella prospettiva della cornice della creazione-caduta-redenzione. Un buon punto di partenza è senz'altro la Dichiarazione di Danvers sull'uomo e la donna secondo la Bibbia del 1987 [2] Per prendere sul serio questa chiamata, occorre andare controcorrente. Nel recente passato, si è parlato della necessità di una “contro-cultura” evangelica (Stott) rispetto agli orientamenti dominanti. Dove sono gli uomini e dove sono le donne che vivo­no il loro genere in termini redentivi come vocazione divina e la relazione tra generi come un rapporto armonioso all’insegna di una ricca complementarietà? Dove sono le famiglie in cui la mascolinità del marito e la femminilità della moglie si fecondano a vicenda senza invertire i ruoli? Quali spazi di autentica mascolinità e di genuina femminilità gli evangelici sono in grado di vivere il un mondo che tutto mischia e che tutto deforma? Con questo numero assumo, con trepidazione ed entusiasmo, la direzione della Rivista che è una voce autorevole della teologia evangelicale in Italia. Sono grato al Consiglio direttivo di IFED per il compito a cui mi ha chiamai e al prof. Pietro Bolognesi per l'incoraggiamento ad assumerlo. Il suo lavoro in questi anni e la sua vicinanza sono per me un motivo di stimolo a proseguire nella vocazione della Rivista: essere uno strumento al servizio di un pensi ro teologicamente evangelico e culturalmente alternativo. Studi di teologia rappresenta una risorsa importante, direi senz'altro unica, per l'evangelismo italiano e il mio impegno sarà di conservarla e di valorizzarla ancor più ne spirito di quell'identità evangelica vigorosa e ariosa che l'ha contraddistinto sin qui.

Leonardo De Chirico


Sommario

Articoli

  • John Piper, “La visione biblica della complementarietà”

  • John Frame, “Uomo e donna ad immagine di Dio”

  • Paul Wells, “Il genere di Dio”

Studio critico

  • Leonardo De Chirico, “Le prospettive della complementarietà secondo la dichiarazione di Danvers (1987)”

Documentazione

  • Rosita Di Pietrantonio e Silvana Santarelli, “Le "sorelle" in due riviste evangeliche italiane (1978-2001)”

Segnalazioni bibliografiche