La grazia comune

 

Studi di teologia
Nuova serie
Anno XVI 2004/2
N. 32

 

Introduzione

Si può osservare una carezza di una madre a una figlia senza pensare alla grazia di Dio? O ascoltare una sonata di Chopin? O apprezzare un giusto provvedimento sociale? O visitare una città d'arte? O leggere una poesia di Leopardi? O correggere un compito svolto con diligenza? O lavorare riuscendo nell'impresa prefissata? Insomma, si può vivere senza la grazia di Dio? La risposta, scontata, è no. Non c'è vita senza grazia. Ma di quale grazia stiamo parlando?

Giustamente, l'attenzione dei cristiani è spesso rivolta alla grazia di Dio che li ha salvati dal peccato e che ha donato loro una vita nuova. Se tutto contribuisce alla gloria di Dio, non tutte le manifestazioni della Sua grazia hanno come scopo la redenzione dei salvati. Ve ne sono altre con le quali il Signore limita gli effetti del peccato e manifesta qualcosa della sua infinita ricchezza a tutta l'umanità. In altre parole, vi è la grazia salvifica e vi è la grazia comune. La prima raggiunge solo i redenti, la seconda tutti gli uomini e le donne. Entrambe procedono dall'Iddio uno e trino, ognuna ha la sua particolare finalità. I credenti sono raggiunti da entrambe, i non credenti solo dalla grazia comune, molto spesso loro malgrado. Molti vorrebbero non avere niente a che fare con Dio, attribuendo tutto al caso o a sé stessi. Tutto invano. Pur in presenza del peccato che deforma radicalmente ogni cosa, la grazia comune permette ed incentiva la vita di tutti e di ciascuno.

Cosa suggerisce il richiamo alla grazia comune? In primo luogo, essa rivolge un accorato appello al coinvolgimento nel mondo di Dio. Dio è all'opera nel suo mondo, anche tra coloro che non sono salvati e anche nelle sfere apparentemente più controverse! Pur essendo pellegrini e gente di passaggio, i cristiani sono altrettanto convinti che la loro vocazione è di rendere gloria a Dio hic et nunc , nel mondo caduto nel peccato e riconciliato da Cristo. La redenzione ricevuta in dono non è una fuga dalla realtà, ma l'impegno ad onorare il Signore a partire da ora sino al compimento dei tempi, in ogni ambito della vita. Nel rispetto della vocazione di ciascuno, tutti sono chiamati a vivere pienamente, ad abitare il mondo appassionatamente, a coltivare i talenti per metterli a frutto, ad apprezzare la svariata grazia di Dio, a costruire con impegno in vista del regno veniente. Non può esistere un cristiano svogliato e disinteressato.

In secondo luogo, la grazia comune chiama ad un continuo esercizio di discernimento . Essa agisce in mezzo alle scorie del peccato e tra le piaghe della disubbidienza. La persona che sperimenta la grazia comune ha comunque un cuore insanabilmente maligno e vive in un sistema deformato. Il mondo in cui opera la grazia comune è ambiguo e controverso. Un'opera d'arte, ad esempio, se non è pensabile al di fuori della grazia comune, esprime al contempo pulsioni idolatriche. Così è della vita. C'è la grazia comune, ma c'è anche il peccato e l'impasto del mondo è complesso. La grazia comune non esonera, anzi obbliga ad esaminare tutto e a ritenere il bene (1 Ts 5,21). Nelle pieghe insidiose del peccato, si possono scorgere elementi di verità, di giustizia e di amabilità (Fil 4,8). Se non può esistere un cristiano estraniato dal mondo, non vi può essere nemmeno un credente ingenuo e sentimentalista.

Infine, la grazia comune apre la strada alla circostanziata collaborazione tra diversi . In molti ambiti della vita, il credente sarà fianco a fianco con persone che non sono salvate, ma che sono raggiunte dalla grazia comune. In famiglia, al lavoro, a scuola, nel sindacato, in associazioni culturali, nella società, in politica, ecc. la vita cristiana è fatta di relazioni con il mondo che non sono da subire passivamente, ma da vivere progettualmente. La grazia comune è il substrato della vita sociale e, nonostante il conflitto irriducibile che tra visioni del mondo alternative, essa permette la collaborazione in vista di obbiettivi comuni. Negli anni Settanta, l'apologeta evangelico Francis Schaeffer parlava delle possibilità di "co-belligeranza" 1 tra credenti e non credenti finalizzata a progetti specifici ed intermedi. Tale collaborazione, per quanto possibile, non potrà eliminare le antitesi che si registrano tra la fede e l'incredulità e sarà comunque al servizio di un progetto alternativo di cui la visione cristiana è interprete. Il cristiano non vive in un ghetto e non è ossessionato dall'isolamento, ma sa di agire in un universo in cui i più svariati rapporti vanno vissuti nella chiarezza e nella concretezza.

I figli di Dio non sono imbarazzati davanti alle buone cose che il mondo conserva ed esprime. Al contrario, sanno che "ogni cosa buona e ogni dono perfetto vengono dall'alto" (Gc 1,17) e che tutto contribuisce alla gloria del loro Dio maestoso. Mentre sono infinitamente grati a Dio per la grazia salvifica che hanno ricevuto in dono e s'impegnano a testimoniarne in ogni circostanza, essi si relazionano al mondo decaduto e riconciliato sapendo di essere nel mondo di Dio.

Leonardo De Chirico


Sommario

Articoli

  • John Murray, “La dottrina della grazia comune”

  • Luigi Dalla Pozza, “La grazia comune nella storia della teologia”

  • Donald Macleod, “I limiti della grazia comune”

Documentazione

  • Abraham Kuyper, “Grazia speciale e grazia comune”

Sussidi

  • “Vademecum per le elezioni”

  • “Questionario sulla scuola”

  • “Domande sulla visione di un film”

Segnalazioni bibliografiche