Le vie della guarigione

 

Studi di teologia
Nuova serie
Anno XIX 2007/1
N. 37

 

Introduzione

Il rapporto tra fede cristiana e guarigione si comprende meglio a partire dalle sue distorsioni. Gli eccessi e gli estremismi aiutano a capire le degenerazioni della relazione e a mettere a fuoco i contorni verosimili della medesima.
Innanzi tutto, vi è un cristianesimo dolorista. Ben radicato nella tradizione cristiana (soprattutto di matrice cattolico-romana), esso esalta il valore purificatore della sofferenza e la eleva a viatico necessario per l’identificazione con le sofferenze di Cristo. Nel dolorismo cristiano, il male fisico è associato ad una sorta di godimento masochistico e viene scambiato per esperienza “alta” e “spirituale”, vera cifra del cristiano che vuole prendere sul serio la vocazione della testimonianza-martirio. Nell’ottica dolorista, la ricerca della guarigione è percepita come mondana e carnale, frutto di una spiritualità che vuole evitare il crogiolo del dolore e quindi privarsi della sofferta profondità dell’unione mistica con Cristo. Il dolorismo cristiano può desiderare la guarigione “naturale”, ma attenderne una soprannaturale è indice di una presa di distanza dalla via dolorosa del discepolato.
Poi si può scorgere un cristianesimo razionalista. Siccome, nella visione cristiana, la guarigione può implicare il contatto con la sfera soprannaturale, del miracolo, dell’esercizio della fede, ecc., esso prova disagio di fronte a tutto ciò. La possibilità che Dio guarisca dà fastidio e inquieta perché non è controllabile e spiazza. Per la cura delle malattie, c’è la medicina “ufficiale”, scientifica, specialistica ed è ai luminari della scienza medica che ci si deve rivolgere per ricevere guarigione (“dottore, mi metto nelle sue mani!”). Per il cristiano razionalista, la preghiera svolge al massimo una funzione consolatoria, sussidiaria, in fondo marginale. Può essere paragonata all’uso di un placebo: talvolta utile dopo averle provate tutte, ma non risolutivo. La comunità cristiana può solidarizzare col malato, ma non può osare entrare nel campo del soprannaturale che è fuori dalla realtà nella quale ci si sente a proprio agio.
Di tutt’altra pasta è la distorsione del cristianesimo terapeutico. Si tratta di un’escrescenza più recente delle altre, ma molto diffusa nel cristianesimo “giovane” del Sud del mondo. All’apparenza, si tratta di un cristianesimo spirituale che prende sul serio i segni e i miracoli di cui parla la Scrittura. L’idea di fondo è che la fede è la garanzia della guarigione sempre e comunque, senza se e senza ma. La guarigione va “rivendicata”, “pretesa”, come se Dio si fosse impegnato a concederla tutte le volte in cui la fede la esige ed è convinta di riceverla. I cristiani terapeutici ritengono che uno dei benefici della salvezza sia la guarigione da ogni malattia. Per questo, la mancanza di guarigioni miracolose è per loro indice di scarsa fede da parte di credenti smunti e spenti che hanno smarrito il senso della potenza di Dio. Se non si verificano, si deve avere più fede perché è la fede la chiave della guarigione.
Infine, si deve citare il cristianesimo eclettico che pare essere quello più praticato diffusamente. Solo raramente, infatti, i primi tre tipi di cristianesimo si riscontrano in forme nitide e coerenti. Molto più spesso prevale la giustapposizione, meglio la sovrapposizione. L’eclettismo è lo shopping ai diversi banchi che si trovano sul mercato della guarigione. Ci sono cristiani che, in caso di bisogno, si rivolgono alla medicina “ufficiale” in virtù di un automatismo molto forte, anche se spesso non consapevole. Poi, se la guarigione non arriva nei termini desiderati, sentiranno un conoscente che ha avuto benefici dalle medicine “alternative” e si apriranno alle possibilità terapeutiche che vengono prospettate da quei saperi. Nel frattempo, viene indetta una serata nella propria città in cui sono garantiti “miracoli e guarigioni” da parte di uno dei tanti spacciatori di soprannaturale. Per curiosità e, in fondo, nella speranza che (non si sa mai) il miracolo capiti davvero, andranno anche lì. Poi … ci sarà un’altra pista da seguire, nel caso in cui niente sia stato efficace. Magari, andranno da un altro specialista e ricomincerà il girotondo. Nel frattempo, si ricorderanno di pregare e di chiedere ad altri d’intercedere per loro, più per dovere cristiano che per scelta strategica che procede dal cuore. Il cristiano eclettico procede per tentativi sovrapposti, più che per convinzioni. È in cerca di rimedi che funzionino o che sembrino funzionare, indipendentemente da altre considerazioni. In questo caso, l’eclettismo, per quanto diffuso, non è una virtù evangelica, bensì l’arte spirituale dell’arrangiarsi. Ecco, arrangiarsi è la modalità eclettica di muoversi in una situazione complessa.

In fondo, si tratta dell’approccio più seguito e praticato anche fuori dalla fede. Sulla salute e sulle scelte terapeutiche, la gente è in genere molto eclettica. Se il cristianesimo non è una visione del mondo capace di accompagnare anche nell’esperienza della malattia, l’eclettismo è il modo più a portata di mano per cercare di rimanere a galla nel mare tempestoso della sofferenza. Un po’ di questo e un po’ di quello per via di accumulo. La fede nella medicina si mescola alla sfiducia nella stessa. Lo scetticismo verso le “altre” medicine si apre ad un loro uso speranzoso. Il ricorso posticcio alla preghiera è sormontato dalla ricerca del miracolo, qui e subito. Una cosa non esclude l’altra, ma le si sovrappone per ammasso. Ci si arrangia come si può.
Viste alcune distorsioni, cosa dire di altro, da un punto di vista teologico, sul rapporto tra cristianesimo e guarigione? La relazione tra fede e guarigione è sicuramente specchio di dinamiche più vaste. Il check-up della propria identità cristiana si può fare riflettendo su come ci si pone nei confronti della malattia e della guarigione. Se ne scoprirebbero di tutti i colori. Molti “credi” sarebbero così eclettici da essere irriconoscibili dal punto di vista cristiano. Altri sarebbero così unilaterali e rigidi da rispecchiare una versione monca e soffocata della prospettiva cristiana.
In genere, nella relazione tra cristianesimo e guarigione, sono in gioco molti equilibri che devono essere vissuti in modo armonico, dal momento che sono soggetti a molteplici tensioni.
Prima di tutto, il rapporto tra “grazia comune” e “grazia speciale”. La medicina è parte della grazia comune con cui gli effetti del peccato vengono contenuti. È giusto farvi ricorso per la guarigione. Tuttavia, Dio è anche libero di agire in modo soprannaturale mediante la grazia speciale di una guarigione miracolosa. La questione riguarda allora il collegamento tra le due grazie. Il cristianesimo razionalista si muove solo nell’ambito della grazia comune e la blinda, ignorando la realtà della grazia speciale e la provvidenza straordinaria di Dio. Viceversa, il cristianesimo terapeutico ingigantisce la promessa della guarigione miracolosa e tende a perdere di vista l’ordinarietà della provvidenza divina nella grazia comune. La rottura dell’armonia del rapporto porta alla distorsione della fede.
Un altro rapporto coinvolto riguarda il modo in cui si vivono i tempi della storia della salvezza. Con l’incarnazione, la morte e resurrezione di Gesù Cristo, il regno di Dio è “già” tra noi in modo irreversibile. Gli ultimi tempi inaugurati dal Signore sono caratterizzati anche dalle guarigioni che mostrano la potenza di Dio che irrompe nel mondo riconciliato da Cristo. Eppure, e senza contraddizione, il regno di Dio è “non ancora” compiuto. Lo sarà coi nuovi cieli e nuova terra quando il dolore sarà estirpato. Allora la guarigione sarà piena, completa e definitiva. Noi viviamo tra questo “già” e “non ancora”. Il “già” apre alla possibilità dei miracoli di guarigione; il “non ancora” ricorda che la malattia sarà una componente della vita umana sino alla nuova creazione. Il cristianesimo terapeutico espande a tal punto il “già” da inghiottire il “non ancora”. Il dolorismo cristiano perde la cognizione dei segni del regno che si manifestano nella guarigione, mentre il cristianesimo razionalista proietta il regno di Dio nella dimensione del “non ancora” perdendo l’ancoraggio al “già” inaugurato e reale. La guarigione deve essere vista nell’ottica dell’escatologica inaugurata. L’armonia della tensione tra “già” e “non ancora” deve essere mantenuta per nutrire la visione della speranza cristiana.
Nella guarigione, infine, un terzo rapporto è in gioco: la fede umana e la sovranità divina. Non c’è dubbio che la fede abbia un ruolo nella guarigione, così come nessun cristiano negherà il fatto che Dio esercita la sua sovranità sulla vita di ciascuno, nella malattia e nella guarigione. La rottura avviene quando tutto viene fatto dipendere dalla fede, quasi che la fede diventi un’opera meritoria che commuove il buon Dio e lo spinge ad agire. Oppure, ed è una rottura speculare, quando la sovranità di Dio viene vissuta in modo tale da rimuovere l’esercizio dinamico e audace della fede. La prospettiva biblica chiama ad affidarsi alla provvidenza divina che opera come vuole, ma questo affidamento è esso stesso una prova di fede. Anche in questo caso, il cristianesimo razionalista tende ad avere una visione fatalista, impersonale della sovranità di Dio. Dal canto suo, il cristianesimo terapeutico pratica una sorta di “divinizzazione” della fede quando la fa diventare il solo o il principale fattore dell’attesa della guarigione.
Il mantenimento di questa serie di rapporti biblicamente intesi non significa “arrangiarsi” dando un colpo di qua e uno di là. In altre parole, non è una forma di eclettismo confusionario e arruffone. Chiama in causa, invece, la disciplina del discernimento cristiano che ha una sua fisionomia precisa. Nutrito dalla Parola di Dio (da tutto il consiglio di Dio!), accompagnato dalla preghiera, aperto al confronto con la comunità dei credenti e col mondo, pronto a fare buon uso della svariata grazia divina, consapevole della non-neutralità di ciascuna scelta terapeutica, sereno nel sapere che Dio ha autorità su tutto, controlla tutto ed è presente sempre, il discernimento è l’elemento equilibratore della visione cristiana. Anche per la guarigione, è una questione di discernimento che la Bibbia fa risalire alla pratica del timor di Dio.

Leonardo De Chirico


Sommario

Articoli

  • Henri Blocher, “La guarigione in prospettiva teologica”

  • James I. Packer, “la precarietà della salute tra cura e guarigione”

  • Derek Tidball, “Contorni di una pastorale della guarigione”

Rassegne

  • Paul Finch, “La guarigione in alcune opere evangeliche”

Studio critico

  • Leonardo De Chirico, “Tra credere e curare”

Segnalazioni bibliografiche